TEXAS, U.S.A. - Voci dal Braccio della Morte

          Ultimo aggiornamento: 22/10/2008
   

COME FUNZIONANO VERAMENTE LE COSE

(di: Raheem Y.R. Mustaffa)

Un mattino mi sono accorto di non stare bene. Mi ero ammalato durante la notte, probabilmente a causa di qualcosa che avevo mangiato. La mia richiesta di essere portato in infermeria venne respinta. La mia condizione non era abbastanza grave, mi dissero, aggiungendo che avrei potuto compilare una richiesta per fissare un futuro appuntamento. L’ordine di tempo da aspettare erano giorni o settimane.

Comunque una volta portato a lavorare, informai il mio supervisore della mia condizione. Mentre parlavo potevo vedere osservandolo che la sua faccia si rabbuiava sempre di più. Ma non per la mia salute. Io ero uno dei quattro operatori alle macchine in un’area particolare di una lunga catena di montaggio. Ognuno di noi aveva una quota: 50 paia di pantaloni per uomo, 200 in totale. Lui voleva, ed era determinato ad avere, le 200 paia. Per avere questo numero aveva abbastanza macchine e sufficiente materiale. Aggiungere me agli altri 3 operatori lo dotava del necessario potere di produzione. Davanti ai suoi occhi non vedeva un essere umano, ma qualcosa necessario alla macchina, come era necessaria la corrente elettrica. Niente di più, niente di meno. Un’appendice della macchina.

Anche se è una norma del carcere per un prigioniero essere trattato come meno che umano, ogni volta sento dentro di me una furia, tutte le volte, come la prima volta, che questa mentalità da padroni viene fuori in maniera eclatante: non mascherata, aggressiva, rabbiosa. Solo i prigionieri "modello", quelli che vedono se stessi attraverso gli occhi del padrone e del giudice e si autocondizionano ad estraniarsi da loro stessi, disprezzarsi e condannarsi da soli (diventando partecipi della loro stessa vittimizzazione) si conformano completamente senza protestare.

L’infusione di complessi di inferiorità nei prigionieri è un processo metodico, una scienza che ha particolari caratteristiche e proprietà che dobbiamo riconoscere e capire se vogliamo liberarci da essi. Un prigioniero bianco è shoccato, abbattuto e profondamente umiliato dal trattamento, emozioni profondamente intense, ma che però non raggiungono il livello del dolore e dell’oltraggio di un prigioniero nero.

Questo perché il prigioniero nero vede l’attitudine all’oppressione che guida l’industria delle prigioni come una delle forze colonizzanti di quell’Europa che invase, distrusse e divise l’Africa e fece gli Africani degli schiavi. Quando queste forze declinarono dopo la 2° guerra mondiale, esse divennero braccia dei capitalisti che concentrarono e consolidarono il loro potere qui negli U.S.A.. Avevano bisogno e cercano nuovi mercati in cui investire i loro capitali, ma tutti i mercati maggiori erano controllati dai colonizzatori europei. Così le nuove forze capitaliste dovettero elevare il capitalismo al suo stadio di sviluppo più alto, l’imperialismo.

Parte di questa strategia fu l’addrestramento e la fornitura dei cosiddetti "combattenti per la libertà" che apparentemente rovesciavano il colonialismo mentre la loro lealtà era al servizio del nuovo "colonialismo economico", cioè i capitalisti americani, anziché dalla parte del popolo per cui si supponeva che avessero combattuto. Molti paesi in Africa, Asia e America Latina compromisero la loro integrità nazionale per liberarsi dal colonialismo, solamente per diventare stati satelliti delle nuove forze capitaliste.

Poi vennero le vere rivoluzioni - la rivoluzione cinese, la coreana, la vietnamita, la cubana. In Africa ci furono rivoluzioni in Zambia, Zaire, Angola, Ghana, Congo, Sudafrica, Etiopia, e altrove. Ci furono rivoluzioni in America Centrale e in Sud America. Ad ogni vittoria i capitalisti americani si trovavano con meno sangue da succhiare. Ma la diminuzione di vittime non significò che il vampiro, lungi dallo sparire, se ne tornasse all’alba nella sua casa. No. Al contrario, intensificò i suoi colpi. E questo portò il mostro a rivoltarsi contro i poveri e i reietti all’interno della sua casa.

La fissazione americana di costruire prigioni private è il suo ultimo investimento. Le prigioni oggi non sono altro che industrie, colonie artificiali nelle quali i colonizzati non hanno armi. La fabbrica del braccio della morte è una piccola parte di un vasto complesso. Duff, l’ufficiale supervisore della fabbrica, è in effetti, un ingegnere industriale, la cui lealtà va alla corporazione, e le cui principali responsabilità sono incrementare la produttività dei lavoratori e dirigere le operazioni nel modo più efficiente ed economico possibile, che significa prigionieri che lavorano anche quando sono malati, se necessario.

Sentite questo, è la testimonianza di Frederick Douglass, un ex-schiavo, e provate a vedere se fosse così diverso da me: " In uno dei giorno più roventi di Agosto 1833, Bill Smith, William Hughes, uno schiavo chiamato Eli, ed io, venimmo usati nella raccolta del grano. Ognuno di noi aveva un determinato compito. Il lavoro era semplice, richiedeva più forza che non intelletto, ma fatto da gente inesperta diventò presto durissimo. Verso le 3 del pomeriggio di quel giorno caddi a terra; le forze mi mancavano; venni preso da violenti dolori alla testa, e da forti brividi; tremavo in ogni parte. Mi forzai a rialzarmi, sentendo che tutto questo non poteva bloccare il lavoro. Mi ressi in piedi più a lungo che potei; quando non ce la feci più caddi, e mi sentii come schiacciato da un peso immenso. Il ciclo di lavoro si bloccò; ognuno aveva il proprio compito da svolgere; nessuno poteva fare il lavoro dell’altro e tutto doveva essere contemporaneo.

Mr. Covey era in casa, a un centinaio di yards da dove stavamo lavorando. Appena si accorse che il lavoro era interrotto uscì immediatamente e venne lì. Chiese aspramente quale fosse il problema. Bill rispose che io stavo male, e che non c’era nessuno che poteva fare la mia parte. Io mi ero sdraiato sotto i pali di recinzione del campo sperando di trovare un po’ di sollievo e di riparo dal sole. Egli chiese allora dove fossi. Mi indicarono. Mi raggiunse e dopo avermi guardato un attimo mi chiese quale fosse il problema. Cercai di spiegarglielo meglio che potei, perché a malapena avevo le forze per parlare. Poi mi diede un violento calcio sulla schiena e mi disse di alzarmi. Provai a farlo, ma caddi nel tentativo. Mi diede un altro calcio, e mi ripetè di alzarmi. Provai ancora, e riuscii a rimettermi in piedi, ma una volta tornato al posto di lavoro inciampai in un arnese e caddi. Mentre ero a terra in questa situazione, Mr. Covey prese la cinghia con cui Hughes stava lavorando e con quella mi diede una pesante botta in testa, producendo una larga ferita, e uscì un fiotto di sangue, e dopo questo mi disse ancora di alzarmi. Non mi sforzai più di obbedirgli, essendomi rassegnato a lasciargli fare il suo peggio..."

Il parallelo è chiaro: Mr. Covey aveva il grano, Mr. Duff, la fabbrica. Mr. Covey aveva gli attrezzi; Mr. Duff, le macchine. Mr. Covey aveva schiavi. Mr. Duff, prigionieri. Questi sono sinonimi: "schiavi" e "prigionieri". Entrambi manodopera: elementi o cose necessarie per la produzione e il proditto. Due persone, una nera, l’altra bianca. Due mondi, uno libero, l’altro in catene. Due facce della stessa storia, quella del vincitore e quella della vittima.

Con questi pensieri in testa sono rimasto alla mia stazione, umiliato, avendo scelto ancora il lavoro al posto della punizione, e ancora una volta il padrone è stato il vincitore. Mi sento addosso la sua freddezza, i suoi occhi mi seguono. Lui vede le macchine e il materiale del braccio: è ossessionato da una sola cosa: produrre. Anch’io vedo le macchine e il materiale, ma nonostante il padrone riesco a guardare indietro nel tempo. Vedo i prigionieri, uccisi da molto tempo, che prima di me le hanno manovrate. Ricordo anche quando le macchine erano nuove e quando dopo anni di servizio erano state sostituite le parti usurate, i motori fusi. Allo stesso modo dei pezzi di macchina, anche i prigionieri morti (manodopera) sono rimpiazzati. Essere un’appendice della macchina è un pensiero su cui non riesco a intrattenermi. Come Frederick Douglass non ho dubbi e provo a cacciare fuori il mio grido per essere trattato come un animale da soma, come una mucca o un cavallo, o un mulo.

L’intera esperienza della pena di morte è basata sulla tortura delle menti. Le nostre esperienze sono dentro di noi. Nessuno di noi, anche il più abile oratore, può descrivere cosa significa vivere in queste condizioni dove la compassione umana arriva solo per posta. Anche se quando arriva, loro la ritardano trattenendola, torturandoti ad ogni opportunità. Tendiamo continuamente corde che i nostri torturatori tentano di tagliare. Anche se questo significa scrivere o ricevere qualche lettera.


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